Ogni bambino, come buona tradizione, per l’Epifania, cioè la notte tra il 5 e il 6 gennaio, si prepara a ricevere doni e dolciumi, se sono stati bravi, oppure carbone per quelli monelli. Il carbone ovviamente è solo un dolce a base di zucchero, albume d’uovo e colorante alimentare. Nelle calze la Befana farà trovare oltre ai regali anche dolci come buccellati, frutta candita, biscotti di pasta frolla, frutta secca e torrone alle mandorle. In alcune località invece delle calze vengono appesi degli stivaletti o scarpe. Usanza che riprende la famosa filastrocca che recita; “la Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte”.
Epifania in greco vuol dire “apparizione”, “manifestazione”, “venuta” o anche “presenza divina”. Sin dai tempi di Giovanni Crisotomo viene associata alla natività di Gesù. Per la chiesa cattolica e non solo è una delle massime solennità dell’anno liturgico.
Viene per lo più chiamata in maniera impropria, Befana, figura folkloristica tipica delle regioni meridionali italiane e poi diffusasi in tutta la penisola. Anche se il nome Befana, inteso proprio come fantoccio femminile esposto la notte dell’Epifania, era già diffuso nel dialetto popolare, specialmente nell’antica Etruria, cioè in Toscana.
La storia della Befana ha due derivazioni, una pagana e un’altra religiosa
Secondo la storia pagana le origini sono connesse a riti propiziatori pagani, risalenti al X-VI secolo a.C, in merito ai cicli stagionali legati all’agricoltura.
Gli antichi romani tali riti li associavano al calendario romano, celebrando così l’Epifania nell’arco temporale tra il solstizio invernale e la ricorrenza del sol invictus.
Secondo alcuni, tale figura fu identificata in Diana, la dea lunare non solo legata alla cacciagione, ma anche alla vegetazione. Secondo altri venne associata a una divinità minore chiamata Sàtia (dea della sazietà), ma anche ad Abùndia (dea dell’abbondanza).
Un’altra ipotesi collegherebbe la Befana con un’antica festa romana, che si svolgeva in inverno, in onore di Giano e Strenia, durante la quale ci si scambiavano regali.
Ma vi è un altro aspetto, quello cristiano cattolico, perché nell’alto medioevo la chiesa cattolica, per limitare il significato “diabolico” della Befana le attribuì un immagine bonaria collegata ai Re Magi. Fu così che nacque la storia della tradizionale calza della Befana.
Si racconta che i Re Magi, in difficoltà nel trovare il luogo della nascita del bambin Gesù, bussarono ad una porta per chiedere informazioni e rispose un anziana vecchietta che si rifiutò di aiutarli. Poco dopo però si pentì e si mise in cammino anche lei, cercando di raggiungerli. Non riuscendo a trovarli, si fermò in ogni casa donando dolciumi a tutti i bambini, ecco perché si diffuse l’usanza di lasciare fuori casa le calze.
Le Usanze
Tornando ai giorni nostri, sull’Isola sono rimaste tante usanze diverse tra loro, basti pensare come nel palermitano, soprattutto nella zona di Piana degli Albanesi, dove la popolazione ha una prevalenza di origine albanese, la festa dell’Epifania è molto sentita.
I festeggiamenti si dividono tra cerimonie religiose e rappresentazioni nelle piazze che simboleggiano il battesimo di gesù.
L’usanza vuole che il celebrante immerga per 3 volte la croce nella vasca dell’acqua benedetta liberando in seguito una colomba che simboleggia la discesa dello spirito santo.
Ma le usanze sono molteplici, e degne di nota.
In uno dei quartieri della città di Messina viene allestito “u pagghiaru” ( stanza piena di paglia e frasche, rifugio temporaneo per contadini e pastori ), formato da una pertica alta nove metri circa e rivestita di rami di corbezzoli, agrumi, ciambelle di pane azzimo e cotone. Simboleggia un abete natalizio, sulla cui cima si trova una croce alta due metri, abbellita con frutta, nastri, ciambelle e forme di pane, cioè i premi aggiudicati dai 14 partecipanti che si arrampicano sulla pertica.
Altre manifestazioni si possono trovare a Gratteri nel palermitano, dove “A vecchia” cioè la vecchia, che si dice abiti in una grotta, scende nel centro abitato su di un asino, vestita con un lenzuolo bianco, tra la gioia dei bambini e il vociare degli adulti, donando durante il cammino regali, caramelle e i “turtigliuna”, dolci tipici locali a base di mandorle, noci, nocciole e frutta secca.
I dolci tipici dell’Epifania in Sicilia
Il 6 gennaio per i siciliani è l’ultima occasione del periodo per riempire le tavole di cibi, con piatti salati e dolci.
Tra i cibi dolci che spiccano generalmente in questo giorno ci sono sicuramente i “buccellati” che in dialetto prendono il nome di “cucciddati” o “turtigliuna“. Quest’ultima sarebbe la forma più diffusa per indicarli specie nel Palermitano. Si tratta di una pasta frolla con varie decorazioni, al cui interno si possono trovare fichi secchi, uva passa, mandorle e scorze di arancia. L’esterno solitamente è allestito con glassa, zucchero a velo o canditi ma il tutto può variare in base alla zona in cui viene preparato.
Nella parte occidentale della Sicilia possiamo trovare La “cubbaita“ o “giggiulena“ in italiano “sesamo”, è un dolce croccante a base di mandorle, pistacchio o sesamo che ha la forma di barretta. Una specialità siciliana molto diffusa in particolar modo a Ragusa dove viene apprezzata specie per l’aroma del miele.
E ancora possiamo trovare i “Tetù e teio” che in dialetto vuol dire “tieni tu, tengo io”, biscotti a base di mandorle. Oltre al gusto alle mandorle si può trovare anche la variante al cioccolato.
Non possiamo dimenticare i “Cantucci” o “quaresimali”, chiamati anche “quaresimali” poiché famosi anche nel periodo di Quaresima, ecco perché in passato venivano preparati dalle monache prima della Pasqua. Non sono dolci propriamente siciliani ma vengono utilizzati molto nell’isola nel periodo dell’Epifania. Tali biscotti vengono accompagnati generalmente al liquore Marsala.